Non sapevo bene cosa aspettarmi quando alle ore 20 mi sono presentata in sede in divisa (per la prima volta, prestata da C. un’altra volontaria 🙂 sapevo che l’aiuto che avremmo portato sarebbe stato sia concreto e pratico, ma anche psicologico e di conforto.
Ed in effetti la prima cosa che abbiamo fatto è stato caricare il furgone di “cose” (vestiti, coperte, biancheria, sciarpe, cappelli, guanti e scarpe, e poi tè caldo e brioches) il tutto ben ordinato e diviso per tipologia e taglia, che sembrava un aspetto trascurabile ma ne ho potuto apprezzare il valore solo dopo, una volta arrivati alla stazione.
Partiamo carichi più possibile (forse troppo dice qualcuno, ma quelli del turno precedente sono dovuti rientrare in sede a rifornirsi a metà del giro e noi vorremmo partire più carichi possibile).
Così si va, alla volta di un’altra sede CRI dove ci riforniamo di molte brioches e bicchieri per il tè. E via verso la nostra prima tappa. Sul sedile posteriore io e un’altra volontaria, anche lei alla sua prima esperienza, siamo in compagnia di M., volontario che di notti fuori come questa ne ha già fatte tante, e che ci racconta alcuni episodi che sono capitati nel corso di altri turni, le sue esperienze, le persone che ha incontrato nei vari giri che ha fatto, realtà che mettono i brividi o che fanno arrabbiare, che ti sconvolgono e ti lasciano senza fiato. La mia gamba sinistra tiene in piedi il barilotto del tè da una parte, dall’altra la gamba di M. fa lo stesso, mentre ci racconta di queste persone, che si sono trovate di colpo senza niente, che vivono per strada, ma che be’ sai “la figlia viene una volta alla settimana a portargli la biancheria pulita…”
Non abbiamo ancora cominciato a fare nulla di pratico ma già mi sento parte di questa iniziativa, solo con i racconti di M. Nel frattempo in stazione non troviamo nessuno, allora passeggiamo con B. e A., altre due volontarie con esperienza alle spalle, lungo le banchine deserte, ci facciamo vedere, passeggiamo e intanto parliamo. B. ci racconta di come alle volte si finisca per confondere persone che aspettano il treno o che fanno una passeggiata notturna per un clochard. Sembra strano a voi che leggete forse ma poi quando ti trovi lì per strada non ti sembra più così strano. Ti si attiva una specie di radar, per individuare persone che potrebbero essere clochard, e che quindi potrebbero avere bisogno, o per scovare i posti dove dormono. Anche se il giro si basa su segnalazioni precedenti, e si conoscono già i posti e il numero di persone che vi dormono, ogni tanto si scoprono nuovi posti e nuove persone, e li si segnala per i turni successivi in modo tale che i volontari degli altri turni ritorni in quei luoghi.
Comunque i racconti sono anche positivi, come questo di cui abbiamo parlato durante quella notte:
L’associazione si chiama “Clochard alla Riscossa” (sono anche su Facebook). Si tratta di un’associazione di clochard costituitasi spontaneamente l’anno scorso, durante l’emergenza freddo e guidata da Wainer Molteni, oramai ex-clochard.
Wainer ha appena pubblicato il suo libro “Io sono nessuno” sulla sua esperienza, rimasto per strada, ha fatto la vita da clochard per 8 anni e ora è presidente dei Clochard alla Riscossa ed insieme ad altri 15 ex-clochard è il gestore di un agriturismo in Toscana.
Continuando il giro passiamo per tutti i punti segnalati e teniamo gli occhi aperti. Quando troviamo qualcuno sotto i portici, sulle grate, dietro i cespugli, alle stazioni portiamo loro un bicchiere di te caldo un sorriso e una brioches. Poi cerchiamo di scambiare qualche parola, di sapere come va, se hanno bisogno di qualcosa in particolare e se possiamo forniamo loro biancheria o vestiti o coperte di cui necessitano. Alcuni non hanno voglia di parlare, neanche per dirti che hanno bisogno di un paio di calze pulite, con alcuni bisogna chiedere più volte con altri semplicemente lasciare stare. Altri ancora invece sembra aspettino te per la chiacchierata notturna, e non bisogna per forza parlare delle necessità che hanno vivendo per strada, anzi, preferiscono chiacchierare di cose “normali” di vita, di persone, di luoghi. Spesso parlano del passato. A chi di loro cerca compagnia non mancano gli argomenti. 🙂 Vogliono solo fare una chiacchierata con te come faremmo noi con gli amici al bar. 
Il punto più “critico” del giro è la stazione, semplicemente perchè ci vivono molti clochard, M. ne conta quasi 30, quindi ci dividiamo i compiti, chi dà il te, chi la brioches e chi invece sul retro del furgone cerca di soddisfare le richieste di tutti, cercando di dare le cose giuste alle persone giuste. Sono insistenti e sembrano “affamati” di cose, ma non vogliono qualsiasi cosa, alcuni hanno da dire sul colore della sciarpa altri su quello del maglione. Un ragazzo molto giovane mi chiede abbigliamento militare e la sua ragazza anch’essa molto giovane preferisce un vecchio bomber troppo grande per lei ad un giubbotto quasi nuovo nero “perché il bomber è più figo”. 
Un po’ in disparte c’è una donna appoggiata al muro, non si avvicina, ma M. le chiede come sta e scopre che è incinta, dice che si sta facendo seguire all’ospedale più vicino e che dorme sui cartoni, ma ci sembra un po’ strano. 
Finiamo il giro, passando per gli altri posti segnalati, incontrando gli ultimi senza fissa dimora vicino al dormitorio e poi ci avviamo per tornare in sede. 
E’ quasi l’una, sono stanca, affamata e un po’ infreddolita. 
Ho in testa tutte le facce che ho visto stanotte e le storie che ho sentito e vissuto. 
So che non ho cambiato la vita a queste persone, ma so di aver portato loro un po’ di conforto, almeno per stanotte. 
					
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